Il ritrovamento di una fornace romana (località Figoli) e i frammenti ceramici datati dal periodo bizantino all’epoca angioina, testimoniano ad Ariano Irpino (Avellino) una tradizione ceramica molto antica. I lacerti del XIII e XIV secolo presentano analogie con la ceramica di derivazione islamica rinvenuta nella chiesa di San Lorenzo Maggiore a Napoli. Trattasi di manufatti non importati da paesi arabi, bensì prodotti nella Napoli sveva. Alcuni frammenti di vasellame provengono da coppe prodotte da ceramisti locali che applicavano l’antica tecnica greco-romana dell’invetriatura, perfezionata nell’area meridionale grazie al contatto con la cultura bizantina e quella islamica dopo la conquista della Spagna e della Sicilia.

Dal XIII secolo, ad Ariano è attiva una vera e propria corporazione di figulai. Gli abilissimi artigiani lavoravano e morivano nelle caverne ricavate dalla roccia di tufo e argilla. Intorno al 1421, Francesco Sforza, conte di Ariano e futuro duca di Milano, portò in città dei maestri faentini, per dare nuovo impulso alle manifatture locali.

Nel XIV secolo la produzione di ceramiche artistiche si lega al nome di tre maestri: Giovanni de Paulo de Milotta (o Bilotta), Vincenzo de Vitto e Vincenzo Marraffino. Ancora per tutto il Seicento risulta egemone nella produzione locale la famiglia dei Bilotta. Dal catasto napoleonico del 1813 veniamo a sapere che, a quel tempo, i ceramisti del paese superano ancora le venti unità. I successivi disastri naturali, che a poco a poco sgretolano la collina delle fornaci, contribuirono ad accelerare la crisi e la decadenza dell’artigianato ceramico, che ebbe una grave battuta di arresto alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso.

Alla fine degli anni Sessanta l’attività è stata ripresa con risultati significativi in campo nazionale e internazionale. In base a studi e ricerche gli artigiani arianesi hanno riproposto l’antica produzione nei colori nelle tipologie e nelle forme: si tratta degli “oggetti solari di Ariano”, come sono stati definiti, creazioni dove un nuovo linguaggio ha saputo mescolarsi in modo adeguato con gli antichi saperi. Dalle acquasantiere alle caponate, dalle mattonelle votive alle fiasche antropomorfe e zoomorfe, dalle fiasche a segreto (complesse nella struttura, fastosamente ornate di frutti, infiorescenze e figure rese ancor più eccentriche dai colori sgargianti), alle coppe a segreto (a forma di calice dal bordo traforato, divise da una sottile intelaiatura che permette la presenza di due liquidi contemporaneamente, riccamente decorate con tralci di foglioline stilizzate intervallati da linee spiraliformi), entrambe originali invenzioni e vero fiore all’occhiello della produzione arianese tra la fine del XVIII e la metà del XIX secolo. Alla base di questa nuova fioritura è bene ricordare il fondamentale lavoro dei ricercatori come Guido Donatone che nel 1976 pubblicava “Maiolica Popolare Campana”, nel 1980 “La maiolica di Ariano Irpino” e Gemma Furcolo Fiore con “Storia illustrata di Avellino e dell’Irpinia” (1996) e “L’antica Maiolica Popolare Di Ariano Irpino nel Museo Civico” (1998).


Le prime notizie relative alle fabbriche di ceramica in Irpinia sono quelle relative ad Ariano Irpino e risalgono al Medioevo come attestato dai numerosi oggetti rinvenuti negli scavi archeologici, che oggi ritroviamo nei musei e nelle chiese. Ma il ritrovamento di cocci di ceramica di origine etrusca in una fornace romana in Contrada Figula ad Ariano Irpino fa risalire l’origine di quest’attività artigianale a tempi più lontani.

Nel XIII sec. i “figulai”, che lavorano in caverne di tufo, si costituiscono in corporazione e nel 1301 viene imposto loro il pagamento di un dazio. In alcuni documenti siciliani risalenti al XV sec. si fa riferimento alla maiolica arianese, presente nei mercati palermitani.

La ceramica arianese era bianca, decorata in modo semplice, a volte solo semplici pennellate, che richiamavano motivi sacri o folcloristici. All’inizio del ‘600 vengono introdotti i colori tipici: giallo limone, giallo ocra, blu cobalto e verde ramina; nel ‘700 viene introdotto anche il colore rosso.

Le tecniche e le decorazioni della ceramica arianese hanno risentito dell’influenza della cultura di vari popoli, dagli Etruschi ai Romani e agli Arabi, giunti ad Ariano Irpino al seguito dei Normanni. I maestri ceramisti che hanno soggiornato ad Ariano (di Caltagirone, Lucera, Faenza, Urbino, Grottaglie, Vietri) hanno introdotto nuovi elementi: i colori giallo e verde, le fiaschette a forma di cagnolino, le figure del pesce, del galletto…

Particolari sono le forme di alcuni manufatti ritrovati: il “fiasco a segreto” (vaso che permetteva di bere il liquido in esso contenuto solo a chi otturava il foro sotto il manico), la “coppa a segreto” (calice che grazie ad un’intercapedine conteneva due diversi liquidi), la “fiasca antropomorfa”, la “spasa” (grande piatto per il banchetto comune), la “sirena a lucerna”.

Nel 2004 Ariano Irpino ha ricevuto il marchio DOC per la ceramica grazie all’antica e consolidata tradizione.