[fonte cittadiariano.it]

Preistoria (ca. 1.000.000 a.C. – ca. 3100 a.C.)

Le origini di Ariano Irpino si legano alla posizione strategica del suo territorio che segna il confine naturale tra la Campania e la Puglia, in un punto dove, dalla più remota antichità, è ubicato il valico più agevole dell’Appennino.

I primi abitanti si insediarono già nel neolitico in questa terra e le loro tracce vanno ricercate nella zona collinare della Starza, lungo la S.S. 90 bis che oggi conduce da Benevento a Foggia. In località La Starza, infatti, sulla collina di Monte Gesso, lì dove il torrente La Starza incontra i fiumi Miscano e Cupido, sono state rinvenute significative tracce di insediamenti preistorici (un villaggio di capanne risalenti al Neolitico inferiore) che testimoniano l’importanza archeologica dell’intera area. In questa zona sono stati trovati reperti archeologici risalenti al VI millennio a.C.. Purtroppo le tracce presenti nel sito della Starza si perdono intorno al 900 a.C.

Storia antica (ca. 3100 a.C. – 476)

Aequum Tuticum

Alle prime popolazioni appenniniche si susseguono nel tempo gli Hirpini, provenienti da un ramo dei Sanniti, che fondano la città di Aequum Tuticum (pianura grande) nella zona di S.Eleuterio al confine con il comune di Castelfranco in Muscano (BN). Il primo insediamento diviene uno dei principali centri abitati della zona, noto anche per il culto della dea Afrodite. Sono stati rinvenuti resti di capanne, vasellame e tracce di strutture murarie appartenenti ad architetture domestiche, artigianali e difensive che testimoniano la successione delle culture nel territorio con continuità dalla protostoria fino alle soglie dell’età del ferro, e che continua ad essere frequentato fino all’epoca sannitica (V – VI sec. a.C.), come confermano frammenti di coppette monoansate e di coppe su alto piede cilindrico rinvenuti in loco, ed oltre. Intorno al 300 a.C. durante la III guerra sannitica la città viene espugnata da Fabio Fabriciano, figlio del proconsole dell’Hirpinia, che invia a Roma la statua della dea Afrodite Nicefora come preda di guerra.

Pertanto l’area viene romanizzata, diventando municipio romano. E’ un nodo stradale importantissimo, per la sua posizione di controllo tra Sanniti, Campani, Lucani ed Apuli, al centro dei traffici tra Tirreno ed Adriatico, all’incrocio tra la Via Traiana che andava da est a ovest e la Via Herculia avente direzione nord-sud, all’incirca lungo il tracciato del Regio tratturo “Candela-Pescasseroli”, su cui incidono anche la via Aemilia, l’Appia e l’Aurelia Aeclanensis. La città viene citata per la prima volta da Cicerone che in una sua corrispondenza con Pomponio Attico, scriveva proprio da Aequum Tuticum così dicendo: “sosta obbligata verso l’Apulia e città di elevata condizione sociale in quanto fornita di ogni comodità”. Nel vicino colle sorgono i templi di Giove, Venere e Cibele. Devastata da un evento tellurico verso la metà del IV sec. d. C., viene poi parzialmente abbandonata nel periodo che intercorre tra la guerra goto-bizantina e la conquista longobarda.

Aequum Tuticum quindi inizia a decadere con il susseguirsi delle invasioni barbariche, ed intorno al VI-VII sec. la città scompare improvvisamente anche probabilmente a causa di altri forti e ricorrenti terremoti.

I pochi abitanti si raccolgono in un modesto casale che prende il nome di Casale Ianiensis che a partire dal 988 assume la denominazione di S. Eleuterio da una chiesa eretta in onore del santo. Gli scavi hanno restituito materiale ceramico di varia natura, manifatture e una serie di suppellettili di lusso che fanno pensare ad un tenore di vita agiato ed a scambi commerciali frequenti.

Alcuni storici dei Sanniti affermano che, con buona probabilità, Aequum Tuticum sia proprio la famosa Touxion (o Touticon), una leggendaria metropoli Sannita, anzi, addirittura la più importante, potente e fiorente città del Sannio, riportata in molti documenti storici e mai localizzata esattamente. Secondo queste fonti Touxion viene fondata da Diomede, in fuga da Troia e sbarcato sulle coste del Gargano. Pertanto nasce quasi contemporaneamente ad altre due città diomedee: Troia (FG) e Maleventum (Benevento). Aequum Tuticum rimane viva e attiva sino al tempo di Onorio (395-423 d.C.), poi distrutta, come viene distrutto tutto l’Impero Romano.

Le vie di comunicazione

Nell’antichità, come oggi, le vie di comunicazione erano fondamentali per l’economia di una città. La particolare posizione geografica di Aequum Tuticum e, quindi, di Ariano, favorì l’attraversamento del suo territorio delle più importanti arterie e dei principali tratturi per la transumanza, che si svilupparono nel nostro mezzogiorno. Ci soffermiamo, pertanto, un po’ più attentamente su quelle vie di comunicazione, mediante una loro breve descrizione, sottolineandone l’importanza economica e la conseguente posizione strategica di Aequum Tuticum, prima, e di Ariano successivamente.

Regio tratturo

Il Regio Tratturo Pescasseroli-Candela, da tempo immemorabile fonte economica legata alla transumanza delle greggi dall’Abruzzo alla piana pugliese, nasce sul confine fra Gioia (AQ) e Pescasseroli (AQ) alle sorgenti del fiume Sangro in Località Campo Mizzo, attraversando l’Abruzzo, il Molise, la Campania e la Puglia, termina il suo percorso al Pozzo di S. Mercurio a Candela (FG). Lungo 211 km e 636 passi, per una larghezza originaria di 111,60 metri, nel territorio della Comunità Montana della Valle dell’Ufita tocca i comuni di Casalbore, Montecalvo Irpino, Ariano Irpino, Villanova del Battista e Zungoli. In prossimità del Ponte di S. Spirito, nella valle del fiume Miscano, il Regio Tratturo è ricalcato per un tratto dalla via Traiana.

Lungo il Regio Tratturo il passaggio di numerosissimi armenti ha fatto sì che si sviluppassero villaggi durante il periodo preistorico e, durante l’impero romano e per tutto il medioevo, tutta una serie di servizi pubblici quali taverne, fontane, pozzi, officine varie e luoghi di culto prima pagani e poi cristiani. Servizi, questi, necessari al ristoro del corpo e dello spirito. Grande è l’importanza storica e archeologica di questa grande via di comunicazione, di scambio e di vendita di prodotti caseari e della lana, soprannominata anche “la via della lana”.

Via Appia

La via Appia, mentre da Roma a Capua è una strada creata ex novo nel 313-312 a.C., nel tratto da Capua a Venosa, eseguito dopo le guerre sannitiche, segue vie naturali. Proveniente da Caudium giunge a Benevento, importantissimo nodo viario e ne esce in tre bracci: uno per Aequum Tuticum, Aeclanum e Abellinum, un secondo, la via Latina da Telesia ed un terzo di collegamento con il Sannio Meridionale attraverso Saepinum. Secondo alcuni studiosi in età repubblicana l’Appia ha un percorso più breve e solo successivamente, al tempo di Adriano viene fatta passare per Aeclanum.

Il tracciato quindi si dirige, attraverso la valle dell’Ufita, a Trevico. Tra le ipotesi c’è anche quella che, all’altezza di Aeclanum, l’Appia si biforcasse per proseguire da un lato verso Frigento e dall’altro lungo i contrafforti di Trivicum.

Via Æmilia

Nel sito di Fioccaglie di Flumeri (AV), si stacca dall’Appia una via consolare di età repubblicana, l’Aemilia, diretta a Aequum Tuticum e quindi a Luceria. Due cippi miliari del II sec. a. C. rinvenuti il primo nel sito della Manna ed il secondo a S. Lucia di Camporeale nel tenimento di Ariano Irpino, recano il nome di Marcus Aemilius Lepidus.

Via Herculia

La via Herculia viene così chiamata in onore di Valerio Massimiano soprannominato l'”Erculio”, che ne cura la sistemazione tra la fine del III e l’inizio del IV sec. d.C.. Ricalcando in parte il tracciato del Regio Tratturo Pescasseroli-Candela essa prosegue in direzione del fiume Cervaro, verso Difesa Grande (Ariano Irpino), Monteleone (FG), Scampitella (AV) e Venosa (PZ), dirigendosi poi a sud verso Potentia (Potenza).

Via Traiana

La via Traiana è una delle strade più importanti costruite tra il 108 e il 110 d. C. per la sua funzione di collegamento tra l’Italia e i principali imbarchi verso l’Oriente. Voluta da Traiano ricalca un tracciato di cui si erano serviti già nei secoli addietro i Romani durante le guerre sannitiche. Essa, che dopo l’Appia rappresenta la seconda grande via romana di penetrazione nell’Irpinia proveniente da Benevento, nel territorio Irpino tocca i comuni di Casalbore, Montecalvo Irpino, Ariano Irpino, Greci. Dopo il sito S. Maria dei Bossi la via si immette nella contrada S. Spirito verso il Regio Tratturo Pescasseroli-Candela coincidendo con esso per un lungo tratto. Giunta alla confluenza del torrente Ginestra con il fiume Miscano, al miglio XVI, la via Traiana, attraverso il ponte di S. Spirito o del Diavolo, supera il torrente della Ginestra e, seguendo sempre il Regio Tratturo, giunge nel sito della Malvizza di Montecalvo Irpino. A questo punto lascia il Regio Tratturo che vira a destra e prosegue in direzione del Ponte sul Miscano giungendo, nei pressi dell’attuale Ariano Irpino, a Aequum Tuticum. Proseguendo la strada continua in salita in direzione Tre Fontane di Greci e di lì verso S. Vito di Faeto, in provincia di Foggia, si dirige in direzione di Brindisi. La via Traiana, a differenza dell’Appia, abbandonata dopo la caduta di Roma, acquista notevole importanza sotto la dominazione gota e longobarda. Sotto la dominazione normanna, quando il territorio irpino si popola di castelli e cinte murarie, la via Traiana serve per il trasporto veloce in Campania delle derrate dalle Puglie.

Via Aurelia Æclanensis

La via Aurelia Aeclanensis, raggiungendo Aequum Tuticum, viene a collegare direttamente la via Appia con la via Traiana. La sua esistenza è documentata da due cippi miliari, uno rinvenuto a circa 4,5 Km da Aeclanum, l’altro sottostante la contrada “Migliano” a Scampitella. Questa strada diretta ad Ordina in Abulia, ricalcava all’incirca il percorso dell’attuale arteria stradale che da Grottaminarda attraverso Corso Fiumarella, Vallesaccarda, Scampitella in Fraz. Toto, discende nella valle del Calaggio costeggiandola fino a giungere a Candela presso il Ponte Romano detto “Ponte del Diavolo”.

 

Medioevo (476 – 1492)

Il Tricolle Longobardo

Intorno agli inizi del VI secolo d.c., a seguito del lento abbandono del luogo dove era sorta Aequum Tuticum, la popolazione va ad occupare un area nuova “vuota”, posta su un’altura a sud a circa 8 chilometri di distanza.

Inizia quindi l’insediamento sul “Tricolle”, l’attuale area di Ariano, erede diretto di Aequum Tuticum, che, grazie alla posizione topografico-politica, diventa la principale roccaforte longobarda a diretto contatto con i domini greci della Puglia. E’ senz’altro in una posizione più difendibile per via della sua altura, appartato rispetto alle grandi vie di comunicazione, al riparo, perciò, dal continuo andirivieni di Goti e Bizantini.

Essa è anche un’area anticamente sacra, perchè sul primo colle, ora Piano della Croce, si insediava il tempio di Giano, da cui probabilmente deriva il nome Ariano “Ab Ara Iani” e sul secondo, l’attuale Cattedrale, si ergeva il tempio di Apollo.

Esistono altre due interpretazioni del nome Ariano. Secondo la prima il nome deriverebbe dalla presenza di un “fundus Arianus”, che a sua volta potrebbe derivare dal sacello dedicato al Dio Giano, in ciò avvalorato da numerosi rinvenimenti epigrafici. Un’altra interpretazione farebbe derivare il nome dal termine “ayrale” (luogo incolto).

Con l’arrivo dei Longobardi, la conquista di Benevento, tolta ai Greci-Bizantini da Zotone, e la nascita del Ducato Longobardo che ebbe durata dal 571 al 774, il territorio di Ariano rientra in quella sfera di influenza politica e religiosa. Nel X sec. il guastaldato Ariano diventa contea.

I Normanni

Nel 1017 un gruppo di cavalieri normanni, di ritorno dalla Terra Santa si fermò in Italia, e tre anni dopo fu al servizio dei Bizantini dominatori della vicina Puglia. Il potere dei Normanni crebbe al punto che nel 1042 spodestarono i Bizantini e divennero padroni assoluti di tutta la regione. Più tardi, nel 1096, dopo aver scacciato i musulmani dalla Sicilia, gli stessi dettero origine al Regno Normanno, successivamente diviso in contee. Guglielmo divenuto Conte della regione, divise le terre conquistate con altri 11 compagni tra cui Gerardo di Bonne Herberg (Buonalbergo) cui toccò una vasta zona compresa tra Ariano e Morcone. La Contea di Ariano conosce, con il conte Gerardo e i suoi successori Ariberto e Giordano, la fase del suo massimo prestigio e potenza. Nel 1122, quale risultato della lotta tra Guglielmo duca di Puglia, alleato con Ruggero II re di Sicilia, e Giordano conte di Ariano, Casalbore e Buonalbergo, l’esercito pugliese-siciliano costrinse quest’ultimo alla fuga. Cinque anni più tardi il figlio di Giordano, Ruggero, fu fatto prigioniero e spedito in Sicilia con la moglie; pertanto, nel corso di tali vicende, Ariano si ritrovò alle dipendenze del re di Sicilia, sotto influsso pugliese. Cancellati i Longobardi e i Bizantini dalla regione, i Normanni potenziarono il vecchio castello longobardo di Ariano, costruendo una struttura possente quadrangolare e trasformando la città in uno dei maggiori centri del loro dominio. Con i Normanni, Ariano assunse nuovamente un ruolo di primaria importanza e fu scelta come centro di un vasto territorio che comprendeva larga parte del Sannio e dell’Irpinia.

Nel suo Castello, potenziato e ingrandito, nell’estate del 1140, Ruggero II il Normanno, Re delle Due Sicilie, tenne il suo primo Parlamento ed emanò la nuova costituzione “Costitutiones Regni Siciliae” nelle famose Assise di Ariano, battendo la nuova moneta d’argento il Ducato, che durerà fino al 1860, ed i “Tre Follari” da sostituirsi questi alle antiche “Romesine”. Le Assise rappresentavano una sintesi di tradizioni giuridiche diverse, ispirate al diritto romano, al Codice Giustinianeo, all’Editto di Rotari, al diritto canonico, alle testimonianze bibliche e cristiane.

 

Assise di Ariano

(vedi anche [1] su Wikipedia)

Ruggero II d’Altavilla promulgò con le Assise di Ariano un corpo di leggi che sanzionò la nascita del Mezzogiorno d’Italia quale entità politica autonoma ed unitaria.

Nel suo Castello, potenziato e ingrandito, nell’estate del 1140, Ruggero II, Re delle Due Sicilie, tenne il suo primo Parlamento ed emanò la nuova costituzione “Costitutiones Regni Siciliae” nelle Assise di Ariano, battendo la nuova moneta d’argento, il Ducato, che durerà fino al 1860, ed il “Follaro”, moneta di rame che sostituì l’antica “Romesina” secondo il cambio di 3 a 1. Le Assise rappresentavano una sintesi di tradizioni giuridiche diverse, ispirate al diritto romano, al Codice Giustinianeo, all’Editto di Rotari, al diritto canonico, alle testimonianze bibliche e cristiane.

“Molteplici sono le ragioni del perdurante interesse verso quelle leggi. Il complesso delle questioni legate alla loro nascita occupa infatti un posto rilevante nella storia delle fonti del diritto italiano. Le Assise costituiscono un ordinamento originale non solo per essere una sintesi di tradizioni giudiche diverse, innestate sul tronco di un diritto romano adeguato all’ambiente cristiano ed alle condizioni di vita del momento, ma soprattutto perché, anticipando i tempi, la loro validità di fatto deriva dall’affermazione della sovranità dello Stato.

Ulteriore motivo d’interesse più marcatamente storico-politico sta poi nel fatto che le Assise sono il primo corpo di leggi emanato per l’intero regno meridionale dal suo fondatore – che infranse così il principio della personalità, affermando invece quello della territorialità della legge – e costituiscono il nucleo da cui si è sviluppato il diritto che per circa sette secoli ha regolato la vita del Mezzogiorno d’Italia. Sotto tale profilo deve anzi convenirsi che le più famose Costituzioni di Melfi, emanate quasi un secolo dopo delle Assise da Federico II, per essere in gran parte uno sviluppo di quest’ultimo, vanno riguardate come opera prevalentemente “consolidatoria”. Le Assise infine hanno rilievo perché costituiscono una sorta di manifesto della società meridionale del tempo, osservata non solo dal punto di vista isituzionale ma anche da quello del vivere quotidiano” (*).

(*) Considerazioni estratte dal pensiero di Ortensio Zecchino (1994)

Qui di seguito, a titolo d’esempio, un breve estratto.

CAPITOLI DI ASSISE

Affinché i servi e gli ascrittizi non siano ordinati.

Nessun vescovo osi ordinare gli ascrittizi senza il consenso di quelli al cui diritto sono sottoposti. Il giudeo e il pagano non osino comperare come servo un cristiano, nè possederlo ad altro titolo.

Dei giocolieri

Mimi, mime, cinedi e prostitute non usino in pubblico abiti e vesti monacali o clericali; se abbiano osato tanto siano pubblicamente flagellati.

Del ratto

Se qualcuno abbia osato rapire a fine di matrimonio vergini consacrate o che non abbiano ancora indossato il velo, sia punito con pena capitale.

Dei matrimoni

Con la presente legge stabiliamo che sia fatto obbligo a tutti quelli che hanno intenzione di contrarre legittimo matrimonio di chiedere, dopo gli sponsali solennemente, ciascuno a suo modo e piacimento, di entrare in chiesa per ottenere la benedizione dei sacerdoti; dopo che è seguita l’investigazione pongano l’anello e si sottomettano alle preghiere e alle richieste del sacerdote, se vogliono riservare la successione ai futuri eredi. Sappiano inoltre quelli che d’ora in poi si pongono contro il nostro editto reale che, secondo la nostra disposizione non avranno come eredi legittimi, nè per testamento nè per successione ab intestato, i nati dal matrimonio illecito; le donne non abbiano neanche la dote legittima dovuta alle altre spose. Liberiamo infine da questo vincolo obbligatorio quelli che vogliono sposare le vedove.

Del delitto di adulterio

Con legge generale ordiniamo, tutte le volte che per nostra cura e disposizione sia stata presentata ai giudici una accusa di adulterio o stupro, di osservare le persone con occhio non annebbiato, di considerare le condizioni, di indagare sull’età e sull’intenzione, se si siano spinte al delitto con premeditazione e consapevolezza, o con leggerezza dovuta all’età, o vi siano cadute, o soprattutto per risentimento nei confronti del marito; affinché indagate tutte queste cose, dopo averle verificate con prove o averne constatata l’evidenza, venga pronunciata la sentenza più mite o più severa per le trasgressioni commesse non secondo il rigore delle leggi, ma con la bilancia della equità. Amministrata infatti così, la nostra giustizia corrisponde alla giustizia divina. Mitigata dunque l’asprezza delle leggi, non si deve infliggere come una volta la pena di morte con la spada, ma si deve applicare la confisca del patrimonio di lei, se non abbia avuto figli legittimi dal matrimonio violato o da altro. È infatti ingiusto che siano privati della successione quelli che sono nati al tempo in cui la legge della convivenza coniugale era legalmente rispettata. Deve invece essere consegnata al marito che in nessun modo dovrà infierire a rischio della vita, ma dovrà punire l’adulterio con il taglio del naso, e ciò sia fatto inesorabilmente e nel modo più esemplare, ma non sarà lecito nè al marito nè ai genitori infierire oltre. Se poi suo marito non si sarà voluto vendicare su di lei, noi non lasceremo che un delitto di tal fatta resti impunito ed ordiniamo pertanto che venga pubblicamente flagellata.

Delle ingiurie inferte ai militari di corte

Quando si procede per ingiurie siano molto attenti i giudici a considerare il prestigio dei dignitari della curia ed emanino la sentenza secondo la qualità delle persone, di coloro cioè ai quali sono fatte (le ingiurie) e di coloro che le fanno e quando e se sia ritenuta la temerarietà emanino la sentenza secondo la qualità delle persone; l’ingiuria rivolta ad essi non costituisce però offesa soltanto ad essi ma anche alla dignità regia.

Degli assassini

Chiunque abbia ucciso l’aggressore o il ladro, trovandosi in pericolo di vita, non deve temere per questo fatto alcuna accusa.

Del ladro

Non è punibile chi abbia ucciso uno di notte se non sia stato possibile fermarlo diversamente, purché ciò avvenga con clamore.

Delle ingiurie inferte ai privati

Ciò che è conforme al diritto e alla ragione è abbastanza ben accetto a tutti, mentre ciò che si discosta da un criterio di equità rappresenta per tutti una cosa inaccettabile. A nessuno fà perciò meraviglia se il sapiente e l’amico dell’onestà ragionevolmente si indigna quando sia trascurato, disprezzato e offeso iniquamente ciò che di più elevato e degno Dio abbia inculcato nell’uomo. Cosa c’è infatti di più assurdo del fatto che sia valutato allo stesso modo lo strappo della coda del cavallo e lo strappo della barba di un galantuomo? Pertanto su suggerimento e su preghiera del popolo soggetto al nostro regno, consapevoli dell’inadeguatezza delle sue leggi, proponiamo questa legge ed editto: qualora ad uno qualunque del popolo sia stata consapevolmente e deliberatamente strappata la barba, il reo di tale atto subisca una pena di questo tipo, sei soldi d’oro, cioè reali; se invece il fatto sia avvenuto involontariamente e senza premeditazione, nel corso di una rissa (sia condannato a pagare) tre dei medesimi soldi.

 

Gli Svevi

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Gli Angioini

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Gli Aragonesi

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Età moderna (1492 – 1815)

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Età contemporanea (1815 – oggi)

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